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Nicola Lo Bianco,

Il grande amore perduto,

ed. Arianna

 

“Il grande amore perduto” non è solo una silloge poetica, ma anche un saggio dove progressivamente l’autore espone la sua concezione della poesia, la poetica che presiede all’esplicazione del suo sentire.

Il poeta vive in solitudine, Lei non c’è più, è andata via, restano i ricordi, la memoria immaginifica che gli permette di rivivere momenti speciali e per lei di mettere “insieme le parole più                            belle “(Le parole più belle, pag.15), pertanto la poesia diventa catartica e consente al poeta di continuare comunque a vivere.

Nel prosieguo dei secoli la donna e l’amore per il gentil sesso hanno sempre trovato esplicazione lirica, basta ricordare, per citare solo i maggiori, Dante, Petrarca sino ad arrivare a Montale e a tanti altri poeti contemporanei, tra i quali è sicuramente ascrivibile anche Nicola Lo Bianco. Ma come sostiene in una delle sue esplicazioni in prosa sul significato e il valore della poesia, “dobbiamo ridare senso alle parole. Eliminare quanto più possibile lo scarto tra scrittura e realtà e questo non tanto in senso estetico- formale, ma soprattutto in ambito semantico, che deve rispecchiare l’esigenze  dell’io, sia in ambito esistenziale, sia in ambito etico-sociale, così nei suoi versi trovano voce gli emigranti, i  barboni, gli emarginati e quella fratellanza tanto auspicata dai giovani del Sessantotto che, purtroppo, continua a restare una pura utopia, come dimostrano anche i conflitti in corso. Eppure “… compagni \ siamo tutti\ nel mondo\riprendiamoci\ il cielo\ rivoluzionario \ l’amore\di maggio\

è libertà” ( Immagine del Sessantotto, pag.43)

                                                                        Francesca Luzzio

 

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